#4 - Dubitare sempre

Autore: Maurizio Pagliassotti
Data: 25-07-2023

Dubitare sempre.

La narrazione delle migrazioni avviene attraverso lo sfruttamento compulsivo di alcune parole cardine che vengono ossessivamente ripetute dai principali mezzi di comunicazione. Tali parole fungono da leva non già per l’informazione dell’opinione pubblica, bensì per la formazione della stessa.
Due concetti molto diversi.
Qui di seguito tre esempi di parole, o locuzioni, che vengono maggiormente sfruttate per creare un quadro percettivo insicuro e conflittuale, al cui ascolto il lettore deve porre molta attenzione.

Fuggono, fuggire, paesi in guerra.
Certamente esistono masse imponenti di esseri umani che sono in fuga dai confini, penso ai siriani bloccati in Turchia – paese che odiano perché in nome dell’accoglienza li sfrutta in modo brutale – o ai perseguitati kurdi che scappano dall’Iran, ma la stragrandissima maggioranza delle persone fugge solo dalla povertà: sono quindi migranti economici. Che, di fatto, è una guerra essa stessa.
Al solo nominare tale categoria subito si alzano le polemiche: i migranti economici non vanno bene, quindi meglio chieder loro motivi alternativi che gli impongono quel passo iniziale.
Persecuzioni di vario genere, ovviamente. Come possono testimoniare coloro che praticano gli accidentati percorsi che portano al riconoscimento delle varie protezioni, qui lo Stato italiano si manifesta chiedendo a chi migra per motivi economici di raccontare una bugia che rientri dentro precise griglie discriminatorie.
Perché queste persone non possono dichiararsi migranti economici è un mistero quando l’unica motivazione socialmente accettabile in Italia e in Europa è proprio quella legata al lavoro, alla produzione, a un sistema economico sviluppato appunto.
Quelli che scappano dalle guerre veramente, per altro, l’Italia tenta perfino di buttarli fuori, come capitato recentemente con 500 afgani tecnicamente irrespingibili che, in nome di una fantomatica “riammissione informale” le autorità italiane hanno tentato di rispedire in Slovenia la quale, ovviamente, ha respinto tale sgangherato tentativo.
La locuzione “riammissione informale” si può tradurre in “tentativo di espulsione illegale”.

Invasione
Per esperienza personale posso dire che un numero tendente al 100% di “migranti” presente lungo la rotta dei Balcani ha il desiderio di andare in Germania, la loro terra promessa. L’Italia è vista come un paese troppo povero e soprattutto troppo imprevedibile su molteplici aspetti, tra cui: dilaganti fenomeni di lavoro irregolare, formazione scadente, insofferenza verso i migranti, burocrazia trappola.
La Germania nell’immaginario dell’essere umano che viaggia lungo la rotta dei Balcani è la meta finale per ragioni opposte a questa.
Ne avevo già avuto percezione quando incontravo questi esseri umani al passaggio tra Italia e Francia, in val Susa, in un punto di mondo che escluderebbe completamente la meta tedesca. Eppure erano lì, nella parte ovest delle Alpi, lontano dalla loro meta. Che sia un mito o meno la meta tedesca rimane un punto di riferimento con radici profonde che, evidentemente, devono avere una relazione con la realtà.
Nel 2022, secondo i dati Frontex, il totale dei passaggi lungo le tre rotte principali – balcanica, mediterranea e ovest – è stato 300.000. Il numero di ucraini che ha avuto accesso all’Europa grazie al riconoscimento della protezione temporanea è stato pari a otto milioni. Non c’è nessuna invasione in corso, è solo una piccola migrazione ostacolata con ogni mezzo, che riguarda la Germania.
Tra il 2012 e il 2021 la Germania ha accolto il quadruplo dei richiedenti asilo giunti in Italia.

Lo Stato non fa niente
Vero. Ma questo è un male, perché lascia fare tutto al mercato: un vuoto non rimane mai tale.
Quando si parla di migrazione è difficile nel tifo generale riuscire a individuare una parte costruttiva che esuli dal concetto del “ci servono” per motivi economici. Premesso che non conosco alcuna integrazione che fondi esclusivamente su valori morali, ma ne conosco molteplici che sono passate attraverso il lavoro, anche sfruttato: si pensi alla gigantesca migrazione meridionale verso il nord Italia, masse sterminate di uomini e donne che sono andate a lavorare alla Fiat, che hanno costruito la rendita che tiene in piedi le “giovani” generazioni che arrancano con i lavoretti.
Premesso questo l’osservazione delle frontiere, sia esterne che interne, evidenzia che laddove lo Stato si ritrae lo spazio viene occupato dalle forze pure del mercato che generano illegalità diffusa, traffici, sfruttamento. Vale per i campi del nord o del sud Italia come per le frontiere dell’Unione Europea. Laddove, invece, lo Stato esercita il suo potere attraverso controlli e normative che non siano esclusivamente repressive allora si generano percorsi virtuosi che raggiungono la vita delle persone. Gli esempi non mancano in tal senso, soprattutto nel nord ovest d’Italia.
Più Stato, più enti pubblici, meno mercato selvaggio: solo così si può pensare di salvare un equilibrio violentemente scosso da cambiamenti epocali.
Lo Stato esercita i controlli, distribuisce i flussi, trova risorse, costruisce un tessuto urbano equilibrato attraverso una pianificazione urbanistica laddove ne ha volontà. I conflitti sociali che erompono nelle periferie delle grandi città italiane son il frutto di una assenza di pianificazione urbanistica, nonché di una delega al mercato di tale processo inevitabile. Ma è solo un esempio tra i molti.

Nei prossimi post analizzeremo altre forme gergali che dominano la narrazione in essere.

piotr-laskawski-gL7oJLJOb_I-unsplash (1)
Photo by Piotr Łaskawski on Unsplash
pngggg

Accademia della Vigna è un progetto di
WECO Impresa Sociale srl
sede legale: Via Carlo Pascal, 7 Cuneo (CN)
P.IVA 04002390047
info@we.co.it

con il sostegno di