#9 - Al gran cenone il piatto più prelibato è il fascismo

Autore: Maurizio Pagliassotti
Data: 11-01-2024

Grazie a un roboante annuncio di fine anno a reti unificate abbiamo saputo che gli sbarchi di “migranti” in Italia sono stati 155.754, contro 103.846 del 2022 e 67.040 del 2021: i commenti, purtroppo anche dal campo progressista, hanno evidenziato il “fallimento” – questa l’immagine più usata – del “Governo a fermare il fenomeno”.
Quanti di costoro se ne siano già andati non è dato sapere: alcune stime parlano di 80.000 partenze dall’Italia verso le solite mete del nord Europa.

La zuccherosa tentazione di trovare sempre e comunque nel contrasto del fenomeno migratorio il quadro ideologico da cui estrapolare la propria visibilità, in virtù di un vuoto assoluto che connatura le identità culturali e politiche post 1989, risulta sempre e comunque invincibile. E anche questa volta non siamo rimasti delusi: troppo godurioso è quel poter dire “fallimento del governo che doveva fermare gli sbarchi”, sebbene tutti sappiano – si spera- che quella piccola e velenosa metafora altro non fa che esacerbare un sentimento di rancore fondato sul nulla statistico ma ben radicato dalla retorica dei vari “fuori dal coro” che spopolano in televisione e sui social.

Infatti al “fallimento del governo” si somma sempre la tecnica dell’esempio singolo sparato in TV: il vecchietto scippato, la via dello spaccio, la donna siriana che salta la coda alla posta. Singoli casi che diventano sineddoche, parti per il tutto, “vergogna assoluta” di questa Italia ingiusta in cui i “migranti” – tutti, ovviamente: tranne qualcuno che sì effettivamente è bravo e “lavora” – sono il motore della povertà dei poveri italiani che subiscono indifesi.
“Vogliono comandare a casa nostra!” e giù urla e strepiti contro questi nuovi padroni che “arrivano e li mettono in albergo”.
Questo doppio serpente dato dal “fallimento del governo” più il singolo caso che diventa esempio per spiegare tutto, con ogni probabilità si è riversato sulle tavole imbandite delle feste di fine anno, tra antipasti e pasta al forno, spumanti e panettoni: come un torrente di fango ha coperto di aggettivi indignati lo spirito del Natale che ci vuole più buoni.

Lo avrete sperimentato anche voi, quel terribile momento in cui come un venticello che diventa uragano incontrollabile, quando il piccolo commento sul fatto di cronaca si trasforma in quei ventri dilatati dal cibo e dall’alcool nel pozzo nero in cui potremo vedere il tempo che sarà: le tavolate di un tempo erano diverse. Scomparso il calcio, scomparsa la politica, oggi sempre più spesso vi è un unico coro fatto di rancore di “pena di morte immediata”, “barconi che io prenderei a cannonate”, “ci vorrebbe Hitler”.
Se non lo avete sperimentato dovete preoccuparvi ancor più: siete nella bolla, vivete nel multiverso.

L’Italia, il popolo, questa massa terribile e informe è pronta, vuole l’ordine, vuole un nuovo Mussolini che rimetta in quadro tutte queste cose che non vanno, manco fossimo nel biennio rosso.
Lo stadio intermedio sarà diventare come l’Ungheria e la Polonia, “che loro sanno come si fa a fermarli” per poi scendere sempre più giù, in un abisso nero.
Nelle stesse ore in cui “il fallimento del governo” – il metamessaggio che il popolo riceve o comprende è chiaramente sul fatto che si dovrebbe essere molto più duri – il Presidente della Repubblica pronunciava parole spente, cieco anche lui di fronte all’uragano dentro il quale stiamo già vorticando. Alla sua tavola di Capodanno nessun parente, immagino, avrà invocato il pugno di ferro contro quello o quell’altro, la pena di morte e le cannonate sui barconi. Questa terribile distanza che separa la bolla in cui vive soprattutto certa parte della classe intellettuale sta scoppiando e chi ha occhi per vedere già ora osserva cosa si muove nel ventre di Parigi.

Non una voce che si alzi a difesa non già dell’umanità, ormai spacciata, ma dell’interesse materiale. Ayn Rand, che è di fatto una delle fondatrici del mondo per come lo conosciamo oggi, è la teorica dell’oggettivismo razionale che escludeva ogni tipo di altruismo e fondava il progresso dell’umanità solo sulla pratica dell’egoismo individualista, oggi vedrebbe i segnali del collasso della sua, assai discutibile ma vincente, teoria e prassi.

In un paese, anzi continente, dove gli italiani rifiutano categoricamente di raccogliere frutta o andare in mare a pescare, e piuttosto ci inventiamo il cosiddetto “helicopter money” universale per chi non può lavorare e chi non se la sente proprio, in un paese dove gli stranieri con i loro contributi pagano pensioni, distacchi famigliari, 104, congedi e un’infinita altra serie di “diritti” ad un popolazione ormai sempre più vecchia  – ovviamente a fondo perduto perché gli stranieri mai avranno pensioni – nessuno ha il coraggio di dire che quei 155.000 sono un fallimento solo perché sono troppo pochi.
Questa terribile retorica fonda il suo principio secondo il quale l’irrazionalità è forza, l’odio è uno zucchero e ogni forma di ragionamento prospettico deve essere piegato al tempo unidimensionale dettato dal qui ed era.
Qui ed ora un africano ha menato un vecchietto, qui ed ora una donna siriana ha rubato un broccolo, e così via. L’idea che lo Stato attraverso la legge normi tali comportamenti, sul principio dell’uguaglianza, anche cromatica e religiosa, è stata totalmente scardinata: lo Stato è sempre troppo debole, poco rigoroso, ci vorrebbe la pena di morte immediata, per strada.

Continuiamo a pensare che le sempre più vaste parole violente siano una questione pittoresca, di costume, da bar: sbagliamo.
Sono invece un processo culturale profondissimo che non sappiamo contrastare, che soprattutto la sinistra non sa contrastare e nemmeno riconoscere. O forse semplicemente non vuole.

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