#3 - Dalla Francia di oggi a Joseph Roth e Giobbe
Autore: Maurizio Pagliassotti
Data: 10-07-2023
In uno dei suoi molti capolavori, “Giobbe”, Joseph Roth riconduce la maledizione che si abbatte sulla vita del povero ebreo Mendel Singer sull’emigrazione che porta quest’uomo pio e la sua famiglia negli Stati Uniti. Lo fa indirettamente, ma quella nuova vita americana porterà nuova sventura ad un fato che mai gli ha risparmiato asprezze.
Emigrazione forzata, imposta da un figlio partito molti anni prima che ha fatto fortuna e un giorno spedisce a casa dei vecchi genitori rimasti in Russia dollari e una lettera di invito per il grande eldorado. Ma la vita dei nuovi giunti dopo i primi tempi di stupore si trasforma in un golgota privo di una reale causa, in cui il vecchio patriarca spesso rimpiange la povertà della sua terra natia, rimasta al di là dell’oceano, irraggiungibile, almeno fino all’epilogo.
“Giobbe” di Joseph Roth è la riproposizione del passo biblico su cui schiere di teologi e filosofi si sono rotti i denti “senza giungere a una interpretazione chiara, tanto l’accanimento di Dio contro un uomo devoto è violento e incomprensibile”, scriveva Zygmunt Bauman molti anni fa.
Ma, senza alcun dubbio, le laceranti domande che Mendel Singer si pone sul senso di quella migrazione picchiano sulla coscienza di chiunque viva a contatto con questi uomini, donne e bambini in arrivo da luoghi lontani.
Il senso delle rivolte francesi, da cui emerge una prospettiva sinistra per l’intero occidente che ha visto nella migrazione non già un arricchimento sociale ma un mero strumento per contenere il costo del lavoro, rimanda a quelle pagine, ma non solo.
Pyotr Turchin è un russo della diaspora che attraverso modelli matematico-statistici con cui analizza eventi passati trova schemi storici ripetibili: l’eterno ritorno del sempre uguale, come teorizzato da Friedrich Nietzsche. Si tratta di una branca della matematica che prende il nome di cliodinamica; le elaborazioni di Turchin, dagli esiti distopici, non sono accettate da parte della comunità scientifica, in quanto trasformare il crollo degli imperi passati in equazioni per prevedere il crollo degli imperi futuri è impossibile, data la presenza di un numero di variabili tendente a N.
Nonostante questo Pyotr Turchin ha ottenuto vasto successo con le sue analisi che fondamentalmente si fondano su due elementi storici: distribuzione della ricchezza ingiusta, sproporzionata, e immigrazione di massa per tenere fermo il costo del lavoro.
Tornano le banlieue e Mendel Singer.
I due elementi sono, secondo il matematico russo statunitense, gli elementi che in passato hanno portato al crollo di ogni impero, in primis quello romano, perché si giunge a un punto di rottura in cui le masse immigrate non accettano più di essere l’unico elemento di tenuta di un sistema ingiusto e folle, fondato sull’accumulazione di pochi avidi soggetti che dettano l’incedere della storia in base al loro insano appetito di potere e “roba”.
Da Steinbeck a Dickens, Zola, Verga giungendo fino al nostro sempre compianto Pasolini, la storia della letteratura è ricolma di sottoproletariato inurbato che si rivolta, e sfascia tutto, in un tempo di sperequazione: la trasformazione letteraria delle equazioni di Turchin.
In negativo si vede il crinale su cui si muovono i processi migratori: se tendenti alla costruzione di una reale integrazione inclusiva, essi possono essere costruttivi e cementare la solidità sociale per generazioni. Ma se fondati sui puri principi del mercato i processi migratori di massa sono sempre forieri di squilibri.
Il Giobbe di Roth, Mendel Singer, il povero ebreo che sopporta tutto, non è che un incidente della storia: un evento raro che non rappresenta alcuna matrice.
Ci sono certo, li vediamo nei campi agricoli italiani ogni giorno.
La realtà che ci attende, in presenza di questa folle redistribuzione della ricchezza in occidente, è però più simile alla banlieu francese – unica, enorme, priva di geografia – che, in questi giorni, viene messa a ferro e fuoco.
Gli stessi Stati Uniti sono preda di un gigantesca povertà, in presenza di una altrettanto gigantesca ricchezza detenuta da pochissimi.
Il crollo degli imperi che si manifesta sempre attraverso guerre vaste e distruttive è evitabile attraverso l’amputazione di una delle due gambe, ossia la chiusura delle frontiere? Questa domanda si pone nel dibattito pubblico nelle forme più retrive da molti anni. Quando si sentono elucubrazione semantiche che prevedono “il diritto a non emigrare” – è un conio della nouvelle droite italiana che teme la retorica nazionalista dura e pura e preferisce nascondersi dietro significati che tirano in ballo sgangherate forme del diritto – torna sempre in mente la “Teoria della catastrofi” nella sua accezione più popolare, che più o meno recita: il metodo più veloce per uscire da una catastrofe è entrare dentro una catastrofe più grande. Matematicamente tale teoria è stata ampiamente dimostrata attraverso la “Teoria dei giochi” o l’equilibrio di Nash.
Bloccare i flussi migratori rappresenta esattamente questo processo perché sono l’estremo, e fatale, tentativo di mantenere uno squilibrio economico folle in cui una minuscola pattuglia, una superclasse, divora tutte le risorse fisiche e finanziarie dell’intero pianeta. Bloccare le migrazioni rappresenta l’ultimo tentativo di salvare l’ingiustizia sociale da parte di élites non illuminate.
Se improvvisamente i flussi migratori dovessero essere bloccati o anche solo ridotti, cosa accadrebbe?
Nell’immediato l’occidente si troverebbe a fronteggiare una carestia di proporzioni bibliche, seguirebbe una crisi demografica con relativa esplosione di ogni sistema di previdenza sociale. Crollerebbero i contributi fiscali con cui si alimenta la cassa comune che tiene in piedi, e sempre peggio, la sanità e la previdenza. Crollerebbe l’intero settore turistico e tutti i servizi.
L’unica alternativa possibile a questo scenario sarebbe un esponenziale aumento del debito pubblico che, fortunatamente l’austerità della Bce voluta dalla Germania, vieta.
Manca il ‘900 come fattore di equilibrio, mancano i gloriosi trent’anni di Hobsbawn, manca l’attuazione della Costituzione Italiana: quando è crollato quel muro abbiamo buttato via tutto, bambino e acqua sporca e ci siamo affidati solo ed esclusivamente al mercato, come se questo non fosse uno strumento puramente selettivo privo di qualsiasi morale.
Manca soprattutto lo Stato regolatore, sostituto da quello repressivo in termini sociali e “deregolatore” per le questioni economiche. Prima si recupererà il ruolo centrale dello Stato, e in Italia della Costituzione, prima troveremo un via d’uscita: sempre che essa possa essere ancora trovata.
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